Le macchine
Quando Puccini poté abbandonare la vita bohèmienne di studente povero a Milano, dopo i successi della Manon Lescaut (1893), della Bohème (1896) e della Tosca (1900), e quando cominciò a ricevere dai suoi agenti buste gonfie di biglietti di banca, le sue passioni di ragazzo toscano di provincia poterono esplodere senza ritegno. Erano la caccia (a quante folaghe, a quante beccacce, a quante lepri avrà sparato!), il fumo (una settantina di sigarette al giorno) e il gusto per la velocità sperimentata sui nuovi mezzi meccanici.
Prima le biciclette: amava la New Turner, l’Adler, la Marchand, le americane Humbers. E ne scriveva con competenza: dava consigli al cognato su come si applicavano i puliscicatena, i parafanghi di gomma, su come si pulivano gli ingranaggi col petrolio…
Alle macchine cominciò a dedicarsi nel 1901, quando acquistò una vetturetta De Dion Buton. Ma poco dopo volle una Clément e una Fiat 60, e poi l’Isotta Fraschini 14/22 HP e una La Buire e l’Atala, e la Fiat 501 e infine la Lancia Trikappa, e la Lambda, la Rolls Royce italiana…
L’incidente
Il 25 febbraio 1903 Puccini va a Lucca per una visita medica (mal di gola, sigarette…) e a cena da amici. Lo accompagnano la moglie, il figlio e l’autista. Dopo cena, sulla Clément 8 cavalli, una vettura senza carrozzeria chiusa, Puccini torna a Torre del Lago. Una ventina di chilometri al freddo su strade sterrate; alle velocità di allora, un’ora di viaggio. In piena campagna l’auto sbanda, cade in un fosso profondo. I passeggeri sono sbalzati fuori: Puccini ha una tibia fratturata, l’autista un femore. La moglie e il figlio se la cavano solo con qualche graffio e la paura.
I soccorsi arrivano subito – tutti stavano svegli ad aspettare il passaggio della macchina di Puccini… – ma la frattura è difficile. Dopo le prime cure il ferito viene trasportato in motoscafo alla sua villa. La convalescenza durò diversi mesi, durante i quali si concluse la composizione della Butterfly. A distanza di un anno esatto dall’incidente, il 25 febbraio 1924, l’opera andò in scena a Milano e fu un clamoroso fiasco.
Dieci giorni dopo, Puccini era a Torino per comperare una nuova automobile. Era una De Dion & Buton Phaeton 12 cavalli. Tre marce e velocità di 50 chilometri l’ora. “Mi sfogo con la De Dion, scriveva a un amico, ma occorrerebbe ben altro”
Nei mesi successivi la Butterfly avrebbe ricevuto grandi consensi e nuove automobili entrarono nel garage di Puccini.
Era il momento della nascita di un grande mito novecentesco. Pochi anni dopo, nel febbraio 1909, sarebbe uscito il Manifesto del Futurismo, nel quale Marinetti esaltava “Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…” e aggiungeva: “Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.”
Opposti in tutto, nei gusti poetici e in quelli musicali, Puccini e i futuristi avrebbero insieme amato il rumore “moderno” dei tubi di scappamento che era allora raro, ma che avrebbe fatto da sottofondo alla vita metropolitana del XX secolo.