Il Kathakali, letteralmente rappresentazione di storie, è una forma di teatro-danza rituale indiano, praticata dal XVII secolo nello stato sudoccidentale del Kerala. Si basa sulla armonica fusione di diverse arti: canto, recitazione, musica, danza, pittura e mimo. Il repertorio è tratto essenzialmente dai due grandi cicli epici indiani del Mahabharata e del Ramayana anche se, di recente, qualche compagnia ha messo in scena opere ispirate da autori occidentali, soprattutto Shakespeare. L’addestramento degli attori, che sino a qualche anno fa erano soltanto maschi, comincia all’età di 10 – 12 anni e dura altrettanto. Consiste in nozioni di trucco, danza e mimica. Durante le rappresentazioni, infatti, gli interpreti non pronunciano battute, ma possono esprimersi soltanto con posture, spesso innaturali, del corpo, con gesti delle mani, Mudra, e espressioni del viso. Gli attori devono perciò apprendere a muovere i muscoli facciali in maniera indipendente gli uni dagli altri per riuscire ad esprimere umori e sentimenti. Per accentuare l’espressività, oltre ai tradizionali costumi – che possono pesare oltre 30 chili – e alle cavigliere a sonagli, che sottolineano le movenze, gli attori sono molto truccati e i loro occhi vengono talvolta fatti arrossare con polveri irritanti. Lo spettacolo del Kathakali – che include la lunga sessione dedicata al trucco cui gli spettatori possono assistere – può durare tutta la notte, fino all’alba, l’ora in cui i contadini si recano al lavoro nei campi, e il sorgere del sole simboleggia la vittoria del bene sul male, caratteristica essenziale dello spettacolo. L’intera rappresentazione è accompagnata da musica e canto e si svolge su un palcoscenico totalmente spoglio, con un unico elemento di arredo: una lampada rituale posta al centro della scena. In questo modo lo spettacolo perde ogni collegamento con la realtà e si trasforma in un vero e proprio viaggio in un altro mondo, popolato di dèi, mostri ed eroi.