La città di Junagadh, nello stato nordoccidentale indiano del Gujarat, ha una storia complessa di più di due millenni. Capitale di piccoli regni e sultanati, governata da dinastie e clan di origini afgane, mantenne una certa indipendenza anche durante la dominazione inglese grazie ai Nababbi della famiglia dei Babi.
Non fu mai parte integrante della British India, ma protettorato, e, al contrario di quanto auspicato da lord Mountbatten, l’ultimo vicerè britannico, divenne parte del Pakistan il 15 settembre del 1947. Occupata dalle truppe inviate da Delhi, solo dopo poco più di un mese, e in seguito al referendum del 24 febbraio del 1948, è oggi territorio della Repubblica Indiana.
Junagadh conta più di 300mila abitanti e non è considerata una meta turistica, essendo quasi priva di strutture ricettive. Questo ha salvaguardato la sua integrità e la spontaneità della popolazione. Sono molti comunque i monumenti che la rendono interessante. In primo luogo il mausoleo del visir Bahaduddinbhai Hasainbhai con i suoi quattro minareti, quindi la attigua, abbandonata, Moschea e le tombe dei Nababbi, esempi squisiti di architettura settecentesca, cui si accede, grazie a vicoli che sembrano ciechi, dal mercato del pesce e della frutta.
Sono proprio i mercati, le animatissime strade su cui si affacciano botteghe artigiane e piccoli negozi, le piazze concluse da imponenti palazzi riccamente decorati a rendere la città una meta appetibile. Molto più delle grotte buddiste e dei templi giainisti, pur notevoli, che riempiono i paragrafi delle (poche) guide turistiche.
Una deviazione verso il monte Girnar consente anche un approccio diretto alla comunità di santoni, in tunica arancione, devoti dei templi indù che risalgono al terzo secolo prima dell’era Cristiana.