Come viveva in villa la nobiltà papalina del primo ‘700 durante la bella stagione? Ben lo racconta, con uno stile coinvolgente, Pier Leone Grezzi nel suo ciclo di affreschi per il piano terreno della villa Falconieri a Frascati. Ghezzi (1674 – 1755) nacque a Roma, in via Giulia, da Giuseppe e Lucia Laraschi. Il padre, di origine ascolana, pittore di fama e ben introdotto nella società che contava, lo indirizzò presto alla pittura accademica. E il talento del ragazzo non tardò a rivelarsi. Al suo quasi subitaneo successo contribuì peraltro la benevolenza di Clemente XI, Giovanni Francesco Albani, marchigiano egli stesso, di Urbino. Pier Leone, divenuto accademico di S. Luca già nel 1705, ricevette incarichi pubblici importanti: la prima committenza di rilievo, nel 1712, fu proprio per la cappella degli Albani a S. Sebastiano fuori le Mura. A questa seguirono sei grandi quadri celebrativi delle occupazioni di Clemente XI. E ancora, tra il 1715 e il 1718, il pittore partecipò da primo attore a due imprese di rilevanza, la decorazione delle navate delle basiliche di S. Clemente e di S. Giovanni in Laterano.
Alla pittura sacra Ghezzi alternò la pratica di quella profana, realizzando molti ritratti di personaggi della curia e laici. Non disdegnò la caricatura, come dimostrano alcuni affreschi di Villa Falconieri e, soprattutto gli otto volumi di disegni, ordinati nel Mondo Nuovo: ben più di millecinquecento ritratti, con annotazioni dell’autore sui personaggi colti dal suo pennino, che, rilegati, sono conservati oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana.
Nel 1721 morì Papa Albani, ma anche i sui successori, Vincenzo Maria Orsini, Benedetto XIII, e Michelangelo Conti, Innocenzo XIII, non lesinarono incarichi a Ghezzi che con abilità si districò tra le committenze per chiese e basiliche e i ben remunerati incarichi di nobili e ricchi borghesi.
Al 1727 risale la decorazione della villa di Frascati di Alessandro Falconieri, presidente della Camera Apostolica dal 1697, Governatore di Roma dal 1717 e cardinale dal 1724. Ghezzi lo ritrasse, con famiglia e amici, a grandezza naturale, e in miniatura. In sfondi di cieli aperti, o inserito in dettagliate prospettive architettoniche (affidate al pennello di Domenico Villani, uno specialista della materia), con una tecnica di gran pregio, e da punti di vista che potrebbero definirsi fotografici. L’azione narrata a Frascati coinvolge lo spettatore che si sente inserito nella scena come se assistesse, in flagranza, a ciò che accade. I volti dei personaggi sono definiti in modo deciso, e le irregolarità delle fisionomie rilevate senza forzature. Gli affreschi nel complesso restituiscono una visione iperrealista di costumi, abiti e abitudini. Le dame, in fresche vesti ricamate, adorne di semplici vezzi di perle al collo o al polso, passeggiano col ventaglio in mano per sconfiggere la calura dell’estate; mentre i gentiluomini, in attillate giubbe di velluto, arricchite da galloni e occhielli elaborati, in parrucca e tricorno, si scambiano confidenze o una presa di tabacco. Si avverte, in sottofondo, il frusciare delle sete e delle tele e il canto degli uccelli. Si illustra la moda del bel mondo romano e internazionale che Ghezzi frequentava e animava con l’Accademia della Musica che riuniva in casa sua. Si documenta anche la visita dell’abate Placido Eustachio Grezzi, fratello minore del pittore, per non dimenticare lo stretto legame dei Falconieri con l’ambiente ecclesiastico. Ghezzi non si astiene neppure da un autoritratto, in giubba bluette e calze vermiglie, che lo mostra all’opera. È appoggiato a una balaustra sulla quale è incisa la scritta “Ghezzius hic faciem gestus se pinxit et artem; sed magnum ingenium pingere non potuit. MDCCXXVII”. Insomma: “Ghezzi qui ritrasse il suo volto e la sua arte, non riuscì invece a dipingere il suo grande ingegno. 1727”! Quell’ingegno e quella verve che appaiono evidenti anche nelle immagini che descrivono, con tono giocoso, la quotidianità dei signori, dei fattori e dei contadini che animavano i colli Albani dell’epoca.