Carlo Naya
a quaranta anni suonati arriva a Venezia, nel 1856. Dispone di buona salute e di un consistente gruzzolo di denaro. Quel che gli è rimasto dell’eredità paterna dopo aver saldato i conti di un viaggio di quasi quindici anni alla scoperta delle bellezze artistiche dell’Europa e del bacino del Mediterraneo.
Carlo ha anche rudimenti, da dilettante evoluto, della tecnica della fotografia, divulgata, a quell’epoca, soltanto da 17 anni. Qualcuno sostiene che avesse anche già lavorato come fotografo ritrattista a Costantinopoli durante il suo soggiorno sul Bosforo. Per certo comunque non gli mancano buon gusto, cultura e un eccellente spirito commerciale. Nato, bene, a Tronzano Vercellese, nel 1816, si era laureato in giurisprudenza a Pisa nel 1840, lo stesso anno in cui si ritrovò erede, come già sappiamo, di un consistente patrimonio. A Venezia, Carlo tenta di mettere a frutto la sua passione per il bello, la sua capacità nell’arte nuova e la necessità di non disperdere le sue fortune. Apre uno studio fotografico e ritrae le architetture della città dei dogi e la vita della gente semplice che vive di espedienti sui canali e sulla laguna.
Non era il primo a ritrarre a fini di lucro Venezia. Già agli esordi del Grand Tour uomini dotati di talento artistico e imprenditoriale avevano messo su attrezzate botteghe per soddisfare i desideri dei viaggiatori, soprattutto inglesi, che non volevano tornarsene a casa senza aver riposto nel baule almeno un’immagine di un gondoliere, di Piazza San Marco o del Ponte di Rialto. Ai primi posti di un’ipotetica lista di tali personaggi si potrebbero trovare i nomi di Guardi e Canaletto.
Naya non sa dipingere, ma sa fotografare e produce immagini, stampate con la tecnica dell’albumina, più a buon mercato di quelle dei pittori. Si associa con un altro protofografo, Carlo Ponti, e apre un laboratorio in campo San Maurizio al numero 2758.
La fortuna gli arride da subito e già nel 1866, quando, dopo la Terza guerra d’Indipendenza, Venezia entra a far parte del Regno d’Italia, Naya ha prodotto un album sulla città. Lo commercializza, con successo, nel suo negozio di Riva degli Schiavoni al numero civico 4206. Le foto all’albumina del servizio che segue appartengono a quell’album, venduto per i successivi decenni sia nella versione seppia sia in quella acquerellata a mano, qui riprodotta e più rara e costosa.
Gli album di Carlo, che per agevolare i suoi clienti britannici si fa chiamare, e si firma, Charles, e si sposta col negozio in piazza San Marco al 75, non hanno la raffinatezza, per quel che riguarda la colorazione, di quelli analoghi, per far solo un esempio, che Felice Beato produce a Yokohama sulle bellezze di Kyoto e dintorni. E, a ben guardare, anche le sue fotografie non sono piene di dettagli come le lastre di grande formato allora in uso avrebbero consentito. Pure l’arte fotografica del vercellese immigrato a Venezia viene riconosciuta anche dalla real casa che gli concede il titolo di “fotografo di Sua Maestà Re d’Italia” e dai giudici di svariate Esposizioni Internazionali che lo riempiono di medaglie d’ogni metallo, più o meno prezioso, a Londra, Parigi, Vienna e via andare.
Il catalogo della ditta Naya offre, alla fine del secolo, anche vedute di “altre città” italiane, di “figure pittoresche” e 700 riproduzioni di dipinti dei grandi maestri conservati a Venezia, Verona, Parma e Bologna, oltre che di affreschi di Giotto, Mantegna, Giulio Romano e Paolo Veronese. Un ulteriore vanto della ditta Charles Naya è il reclamizzato fac-simile del planisfero di Fra Mauro “la più grande fotografia sin qui stampata: 2,20 metri quadrati”.
Le stampe col plotter arriveranno sul mercato globalizzato della fotografia solo due secoli dopo!