Autrice rigorosa, capace di esprimersi ad altissimo livello nel campo della fotografia professionale e soprattutto nella difficile arte dello still life, Francesca Moscheni si è recentemente misurata con una nuova ricerca personale dove molti dati si intrecciano in reciproci rimandi. Il primo aspetto che viene immediatamente percepito è quello della rappresentazione del cibo: qui l’autrice non può fare a meno di misurarsi con i canoni della pittura del Seicento e quindi si concentra sull’attento controllo delle luci e soprattutto delle ombre facendo in modo che tutti i dettagli emergano all’interno di una composizione che sa rendere particolarmente plastica. Così, adagiati ai bordi di pareti di cemento che li incorniciano, pesci, verdure, frutti riempiono lo spazio con una presenza così attentamente studiata da far emergere un malcelato senso di teatralità. Una volta ottenuto questo risultato, però, la fotografa compie una sorprendente inversione di rotta e ci conduce in un territorio completamente nuovo, dove a dominare sono gli elementi di un’estetica contemporanea caratterizzata da un guizzante dinamismo. Osservati con più attenzione, i suoi still life si rivelano nei particolari (non è lì che si dice si nasconda se non il diavolo, almeno la sua logica bizzarra?) come opere attraversate da uno spirito ironico e immerse in un’atmosfera ermetica. Una carta da gioco che sembra casualmente abbandonata, una sfera di vetro che riflette l’ambiente come lo avesse voluto catturare al suo interno, un dado da gioco che espone beffardo le cifre che il Caso ha voluto si mostrassero, sembrano inseriti senza una logica razionale. Ma poi, osservando meglio altri oggetti avvicinati fra loro in modo eterodosso, vengono alla mente le combinazioni e gli accostamenti che si ritrovano nelle tavole disegnate dei rebus. Anche se qui l’esito è puramente estetico, visto che non esiste una soluzione da scoprire, ma solo il piacere di essere guidati dallo spirito seducente dell’enigma.