Un autore troppo spesso ignorato dalle tante “Storia della fotografia del ‘900” è Paul Wolff. A tutti gli effetti Paul Heinrich August Wolff, nato a Mülhausen, l’odierna Mulhouse, in Alsazia, il 19 febbraio 1887, e morto a Francoforte sul Meno il 10 aprile 1951. Vorrei tanto credere nella reincarnazione e associare quest’ultima data con quella della mia nascita, due giorni dopo…
Paul Wolff si laurea in medicina a Strasburgo nel 1914, prima di essere colpito dal virus della fotografia, che lo costringe a scambiare lo stetoscopio con una Leica… Un biografo meno “coinvolto” di chi scrive, forse, affronterebbe il problema sorto dopo la prima guerra mondiale, quando a un tedesco laureato in un’università, diventata, francese non veniva accordato il permesso di esercitare in Germania; ma accontentiamoci della prima versione, molto più romantica.
Dunque Paul, che pure medico era, e che firmò sempre le sue fotografie anteponendo al suo nome il titolo Dr. decide nel dopoguerra di diventare fotografo professionista e di produrre film documentari (l’occhio e la tecnica li aveva: le prime fotografie le aveva scattate a 12 anni!). Lavora con una macchina a lastre di 18x24cm. e produce immagini di tale livello che quando Ernst Leitz e Oskar Barnack, rispettivamente produttore e inventore della Leica, nel 1924, decidono di affidare a un selezionato numero di fotografi e di tecnici, per l’esattezza a 31, dei prototipi della loro “minicamera”, Paul è tra gli eletti. Insieme a un francese… tal Henri Cartier Bresson. I test confortano le ipotesi dei progettisti e la Leitz presenta il modello A alla fiera campionaria di Lipsia, nella primavera del 1925. In quello stesso anno, ne vende 1000.
Paul capisce subito di cosa la Leica è capace, e sforna immagini innovative. Sono spontanee e con inconsueti angoli di ripresa. La piccola, maneggevole, macchina consente la pratica di un linguaggio “moderno” svincolato dai problemi di ingombro delle concorrenti. Alla mostra Die Kamera (La macchina fotografica), promossa dalla Leitz nel 1935 al Rockfeller Center di New York per dimostrare la qualità delle immagini prodotte col gioiello fabbricato a Wetzlar (le stampe alle pareti sono ingrandimenti di 40×60 cm.), Paul è protagonista. Il problema del formato Leica è la grana evidenziata sulle stampe dall’ingrandimento di negativi così piccoli? Lui sperimenta nuove formule di sviluppo, aumentando la diluizione dei prodotti chimici e allungando i tempi di “immersione” nel primo bagno, e usa solo pellicola di sensibilità bassissima (10 ISO). I suoi bianco e nero hanno una gamma molto estesa, e anche quando affronterà il colore, con l’Agfacolor, otterrà risultati sorprendenti.
La Leitz ha scelto bene. Wolff diventa il testimonial funzionale del nuovo formato. L’accuratezza delle inquadrature e la versatilità lo accomunano, nella fotografia documentaria, editoriale e pubblicitaria a quel genio, forse ineguagliato, dell’americana Margarethe Bourke White (1904-1971) che firmerà la prima copertina di Life il 23 novembre del 1936. Per altre coincidenze v. sotto! L’azienda di Wetzlar sostiene e coccola Wolff senza tregua. Gli affida in prova i nuovi obiettivi appena prodotti e non ancora distribuiti perché Lui realizzi le immagini per la pubblicità degli stessi, organizza tour internazionali per la proiezione di sue diapositive appositamente realizzate. Insomma si serve delle capacità del fotografo alsaziano con mirate operazioni di quello che oggi si chiama marketing e Lui ricambia la generosità della casa madre producendo fotografie che pochi altri sarebbero in grado di scattare.
Nel 1934 il libro di Paul Meine Erfharungen mit der Leica (Le mie esperienze con la Leica) ha un notevole successo, grazie anche alle 50mila copie stampate (un altro, analogo, con fotografie solo a colori seguirà nel 1940). Due anni dopo Paul fotografa le Olimpiadi di Berlino. Ne nascerà il libro Was ich bei den Olympischen Spielen 1936 sah (Cosa ho visto ai giochi Olimpici del 1936). In una fotografia del volume compare un’altra grande reporter di quell’edizione dei giochi, Leni Riefenstahl durante le riprese del film che diventerà “Olympia”. I due si conoscevano? Avessi saputo di Wolff nel 1990, quando intervistai Leni, gliel’avrei chiesto!
Nel ’36 comunque l’agenzia/laboratorio, Dr. Paul Wolff & Tritschler, fondata nel 1927, con Alfred Tritschler appunto, conta 20 dipendenti: un indice del successo ottenuto dal medico che aveva, in un’Europa dedita alle guerre, dovuto smettere il camice bianco per dedicarsi a luci e ombre. Nello stesso anno il settimanale Time pubblica in copertina una sua immagine di Hitler che ostenta il palmo della mano destra, peraltro il fotografo non amava affatto il personaggio. Le automobili dovevano essere invece una sua passione: le fotografa sempre con grande attenzione. Firma campagne pubblicitarie molto innovative per l’Audi e battezza il primo libro a colori realizzato per l’industria tedesca, guarda caso la Opel per la quale aveva già prodotto il libro in bianco e nero ed in edizione limitata Opel mi Sport 1934 (Opel nello sport 1934). Anche la fotografia glamour trova in lui un eccellente interprete che non sembra difettare d’ironia. Padroneggia non solo la lettura della luce, e la scelta dell’ottica, ma è molto abile nella tecnica della focheggiatura selettiva, cosa alquanto complicata con una macchina a telemetro. La sua regia nella messa a punto della scena da ritrarre è, poi, magistrale. Il controluce non lo intimidisce, anzi!
La seconda guerra mondiale lo risparmia, ma buona parte del suo archivio va in fumo per effetto delle bombe sganciate su Francoforte nel 1944. Pochissime sono le stampe originali che si salvano. Al futuro sono consegnate quelle conservate negli archivi delle riviste cui erano state inviate per la pubblicazione. Comunque poche. Purtroppo.