L’Eremo di Camaldoli, in provincia di Arezzo, fu fondato nel 1023 da Romualdo (ca. 951 – 1027), abate benedettino, in una radura denominata Campo di Maldolo. Camaldoli è l’ultima fondazione romualdina, in cui il monaco, poi santo, organizza un gruppo di eremiti con la norma di «digiunare, tacere e restare in cella».
Ben presto l’Eremo di Camaldoli diviene uno dei centri più noti di diffusione del monachesimo occidentale. I camaldolesi, dopo l’espansione in Italia, giungeranno in Austria, Ungheria, Polonia, Lituania, Francia, Spagna, e sul finire del XIX secolo in Brasile e quindi negli Stati Uniti. Oggi a Camaldoli vivono sei monaci. Le loro celle, e le altre 14 vuote, non sono visitabili, lo è invece quella del fondatore.
La chiesa del Salvatore con i suoi due campanili si presenta non come fu consacrata nel 1027, ma come risulta dopo i restauri effettuati tra il 1708 e il 1714.
L’interno riccamente decorato in stile rococò, ospita un dipinto che si vuole essere del Bronzino (Angelo di Cosimo 1503 – 1572) e una terracotta invetriata attribuita a Luca Della Robbia (1435-1525): Vergine con Bambino, la Maddalena, San Romualdo, Giovanni Battista e Sant’Antonio. Per certo i notevoli affreschi decò, nella cappella di Sant’Antonio Abate, sono di Adolfo Rollo (1898-1985) che li portò a termine tra il 1931 e l’anno seguente; l’antico portale dell’Eremo è stato nel 2013 sostituito con la porta in bronzo di Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943): la Porta Speciosa, al cui interno, su sei formelle che richiamano le pagine di un libro aperto, sono impresse le virtù della vita solitaria, derivate da quelle attribuite a sette diverse specie arboree.