“Imitare, non copiare gli antichi” per “diventare inimitabili” era il monito di Johann Joachim Winckelmann (1717 – 1768), il più famoso tra gli storici dell’arte del ‘700 (nonché soprintendente alle antichità di Roma dal1764) che Antonio Canova (1757 • 1822) seguì per tutto il corso della sua attività artistica. Divenne così “L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”. Per la prima volta nella mostra al MANN si analizza il rapporto di continuità che legò Canova al mondo classico, facendone agli occhi dei contemporanei un “novello Fidia”.
Disposta su due piani del Museo, la mostra presenta la variegata produzione artistica dell’artista di Possagno e include capolavori di prim’ordine, a partire dal gruppo delle Grazie, proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo.
Altri importanti prestiti internazionali connotano la mostra: ancora cinque marmi provenienti dall’Ermitage (che vanta la più ampia collezione canoviana al mondo: L’ Amorino Alato, L’Ebe, La Danzatrice con le mani sui fianchi, Amore e Psiche stanti, la testa del Genio della Morte) e poi l’imponente statua, alta quasi tre metri, raffigurante La Pace, proveniente da Kiev, e l’Apollo che s’incorona del Getty Museum di Los Angeles. A questi si aggiungono, tra i capolavori in marmo riuniti nel Salone della Meridiana, la Maddalena penitente da Genova, il Paride dal Museo Civico di Asolo e la Stele Mellerio.
Due installazioni dedicate ad Antonio Canova sono inoltre ospitate in due scenografie collocate nell’Atrio del Museo.