A chi ama inalare la polvere che si accumula sulle vecchie carte succede di imbattersi in storie appassionanti. Mi capita spesso. Quella che segue è l’ultima delle mie scoperte da topo di biblioteche avido di “inutili scartoffie”. Per un pugno di dollari ho comprato qualche giorno fa, su una bancarella del mercato globale dei rigattieri telematici (ebay), una ventina di CDV (carte de visite) americane. Dalla descrizione sommaria del “lotto” si capiva ben poco riguardo l’ esatto “ammontare” dello stesso. Era chiaro però che i ritratti fotografici erano databili intorno agli anni ’60 dell’Ottocento. Data appetitosa. Quando ho aperto il pacchettino, arrivato con posta celere dagli Usa in tre giorni, e ho “sfogliato” le piccole fotografie (cm 6,5 x cm 10,5) al primo impatto sono rimasto deluso. La qualità delle immagini era poco più che mediocre e le condizioni di conservazione appena accettabili. Poi ho rivolto l’attenzione al “marchio” litografato dietro ai cartoncini sui quali, in quell’epoca, si attaccavano le fotografie (stampate con la tecnica dell’albumina su una carta molto sottile) e sono rimasto sorpreso, favorevolmente, dal fatto che quasi tutti i ritratti si dovevano a un unico autore: tale J. S. Moore, con studio a Toledo, Iowa.
Una pronta ricerca su Google ha dato i suoi frutti in un baleno, ed è nata questa storia.
J. S. Moore (alle iniziali puntate non è possibile attribuire un seguito) ha 25 anni quando nel 1857 arriva nella contea di Tama, stato dell’Iowa, midwest degli Stati Uniti. Nato in Pennsylvania, contea di Centre, era stato portato, ancora in fasce, dai genitori nell’Ohio. Lì, diciassettenne, si diploma carpentiere (ed ebanista). Otto anni dopo sposa Miss Mary Miller (dalla quale avrà sei figli) e decide di trasferirsi un po’ più a ovest, nell’ Iowa. Non è proprio il Far West, ma le città sono ancora tutte da inventare. Arriva a Toledo e per quattro anni esercita il suo mestiere, costruendo case, chiese (lui è devoto di quella metodista) e saloon. Poi diventa fotografo, nel 1861, proprio quando scoppia la guerra civile e inizia l’epopea dei pionieri che, solitari o in carovana, partono per la California, l’Oregon e il Texas e l’Oklahoma e cinque anni prima che il famoso fotografo Timothy O’ Sullivan inizi il suo lungo viaggio per documentare i territori sconosciuti dell’Ovest nell’impresa che passerà alla storia della fotografia come The King Survey. J.S. resta nella neonata Toledo e rileva da J.C. Miller quello che era stato il primo studio fotografico della contea (fondato del reverendo G.G.Edwards) e in breve tempo diventa il più acclamato tra i fotografi di Toledo e dintorni. “Facendo grande attenzione agli affari e al rapporto con i clienti mette su un’azienda che non è seconda a nessun altra nella zona” almeno secondo quanto annotano, nel 1883, Cyndi Vertrees, Mary Alice Schwanke e Donna Pardun nel repertorio dei cittadini della contea di Tama (edito a Springfiled, Illinois dalla Union Publishing Company) e quanto già, nel 1879, aveva testimoniato Samuel D. Chapman nella sua “History of Tama…” per il Toledo Times Office. Dal 1893 non abbiamo più notizie del nostro. Non sappiamo neanche se abbia continuato a esercitare nell’atelier di Broadways,”una porta a sud dell’Armstrong’s Drug Store”, sappiamo però che il suo logo muta negli anni e si evolve secondo gli stili correnti. La foto multipla del servizio che mostra i diversi retro dei cartoncini è molto esauriente a riguardo. Il brand cambia da “J.S. Moore, Photo, Artist,” al più essenziale Moore Photographer, (la inutile virgola finale rimane!) assumendo almeno sette diverse connotazioni.
Chi sono i clienti di Moore? La risposta è facile sono i settler, i migranti in cerca di fortuna che colonizzano in quegli anni le molte terre ancora quasi vergini del Midwest. Chi affronta l’obiettivo del fotografo è piuttosto giovane, qualche volta persino infante, e ha sempre bisogno di assumere una posizione che gli consenta di rimanere immobile almeno per un paio di secondi: il tempo necessario all’otturatore (il cappello del fotografo messo e tolto dinanzi alla lente?) di trasmettere alla lastra la quantità di luce sufficiente a impressionarla. Per tenere i modelli a loro agio Moore ha piazzato nell’atelier un paio di poltrone, con un po’ di fronzoli che pendono dai braccioli, sulle quali accomodarsi, e una semicolonna neoclassica, a pianta quadrata, alla quale appoggiarsi con la mano destra (il peso del corpo del modello è sempre sulla gamba destra) o col gomito, sempre destro (due o più libri accatastati, dalla robusta legatura in marocchino, provvedono egregiamente alla regolazione del sostegno a seconda dell’ altezza del soggetto). I bambini e le signorine vestono per l’occasione della cerimonia, costosa e inusuale, gli abiti buoni. Sono di raso o di velluto, hanno molte pieghe e non difettano di trine e merletti. In qualche caso, sul colletto, alto, che protegge da occhi indiscreti, appaiono anche vezzi di perle. I capelli sono acconciati con cura e lo sguardo è (quasi) sempre indirizzato all’artista. Sembra curioso che i giovanotti siano vestiti in modo molto uniforme: indossano una giacca a quattro bottoni, più o meno accolti dalle asole, pantaloni stazzonati, una camicia della medesima foggia per tutti, come la cravatta. Tutti elementi che sembrano suggerire che quei capi di abbigliamento appartengono al fotografo che li mette a disposizione dei clienti per consentire loro di darsi un tono da borghesi benestanti nel momento di consegnarsi alla storia. Solo in un caso la giacca indossata è diversa, ha le tasche tagliate, e anche il “cliente” mostra più consuetudine all’abito che indossa: verosimilmente è il suo. Nella foto di gruppo impressionano gli stivaloni di feltro indossati dai due giovanotti che siedono in prima fila: in Iowa gli inverni sono rigidi! Resta da dire del fondale. Da quando compare resta sempre lo stesso: non doveva essere facile procurarsene a Toledo! Ma in un’occasione alle piante dipinte a trompe l’oeil sulla tela ne sono anteposte di vere, in vaso. Tre ultime notazioni: le pupille di tutti i personaggi ritratti sono sempre annerite con un ritocco, a volte un semplice puntino, non troppo accurato: molti dovevano essere a Toledo i settler con le iridi chiare tipiche degli immigrati dal nord Europa che in foto risultavano trasparenti e quindi poco gradevoli; l’obiettivo che Moore usa è sempre lo stesso (e non sembra di eccellente qualità); e infine: in una delle versioni del logo compaiono sia la tavolozza del pittore che la macchina fotografica (un modello in legno, molto primitivo) quasi un dimostrazione che la querelle tra fotografi e pittori ritrattisti era ancora lungi dal trovare una composizione.
NOTA: in un solo caso la fotografia è incollata al cartoncino sottosopra.