La bandiera del 3° zuavi decorata a Palestro
Gli zuavi erano in origine un corpo di soldati coloniali dell’esercito francese: erano disciplinati e duri, eleganti e temuti. Nacquero intorno al 1830, dopo la conquista dell’Algeria, e il loro nome deriva da quello di una battagliera tribù berbera. Inizialmente l’arruolamento era misto, ma a partire dal 1841 fu riservato ai soli francesi metropolitani. Nel Secondo Impero (1852-1870) gli zuavi parteciparono alle più importanti iniziative militari di Napoleone III. In Italia combatterono accanto ai piemontesi nella Seconda guerra di indipendenza (1859) a Palestro, a Magenta e a Solferino.Nella vittoriosa battaglia di Palestro contro gli austriaci gli zuavi fraternizzarono coi bersaglieri. Il 3° Reggimento nominò Vittorio Emanuele II caporale d’onore e il futuro re d’Italia ricambiò con una medaglia d’oro al valor militare. Gli zuavi hanno lasciato una traccia nel costume del XIX e XX secolo fin quasi a divenire un’icona. Si dice: portare i calzoni alla zuava; cioè calzoni ampi, corti sopra la caviglia e con sbuffo generoso. In francese faire le zouave vuol dire comportarsi da sbruffone o anche, semplicemente, da cretino… E poi c’è Van Gogh, con il bellissimo ritratto di Milliet, sottufficiale del 3° Battaglione zuavi, proprio quello di Palestro. Il blu, il rosso e l’azzurro sono i colori che si intrecciano nella complicata iconografia degli zuavi. Nella loro bandiera c’è il motto dell’esercito francese: Honneur et Patrie. La loro uniforme era costosissima. Forse per questo furono sciolti nel 1966.
Gli zuavi e Palestro, però, sono all’origine anche di una storia tristissima, quella di Domenico Bassetti che da Lasino, vicino al Monte Bondone in Trentino – allora parte dell’Impero asburgico – andò a combattere volontario coi piemontesi. Aveva conosciuto gli zuavi a Palestro e dopo la guerra, poiché indietro non poteva tornare, decise di trasferirsi in Algeria: insieme a un gruppo di compaesani comprò un ampio appezzamento di terra e fondò una comunità a cui dette proprio il nome di Palestro. Era il 1867. In Cabilia i trentini volevano coltivare le viti, trasferire i loro mestieri e costruire nello stile edilizio della loro terra. Ma la crescente lotta antifrancese e la ribellione guidata da Mohammed el-Hadj el-Moqrani dettero luogo a numerose stragi di occidentali. Nell’aprile 1871 i 50 trentini di Palestro furono trucidati. Un monumento serbò la loro memoria fino all’indipendenza algerina (1962). Oggi la vecchia Palestro algerina si chiama Lakhdaria e si trova a una settantina di chilometri da Algeri.