LA FOTOGRAFIA ZENITALE DI ARCHITETTURA

immagini e testo di Franco Zampetti

La fotografia per un architetto, e io lo sono, è una compagna di viaggio imprescindibile, un supporto della memoria affidabile e sempre disponibile. Le sue regole e la sua disciplina che derivano dalla visione prospettica brunelleschiana restituita mediante ottiche rettolineari, permettono di sostituire con facilità il rilievo informale e la relativa restituzione a mano che necessitano di occhio attento, tempo, e di carta e matita. La particolare versione zenitale di tale disciplina si svincola però del tutto dalla rappresentazione canonica e sublima e trasfigura in mera visione la prospettiva centrale, azzera l’obbligo dell’orizzontalità del piano di riferimento e annulla la necessità di evitare le linee cadenti.

Se da un lato la fotografia di architettura tradizionale non può concedersi aspetti di creatività, ed è vincolata alla descrizione del soggetto, dall’altro la versione zenitale permette invece una rappresentazione nuova, al di là dell’ordinario, al limite anomala, ma non fine a sé stessa. Superato infatti l’iniziale stupore della visione inconsueta, si prende consapevolezza di aver disponibile uno strumento potente e ricco di valenze per riletture e confronti altrimenti impossibili; basti vedere la sezione Sequenze nel mio sito www.francozampetti.it.

Con la fotocamera zenitale (non ne esistono in commercio e perciò bisogna costruirsi il proprio esemplare) si scopre un mondo sconosciuto e che pure esiste da secoli sopra le nostre teste, un mondo quasi mai osservato con attenzione; l’ampiezza del cono ottico dell’obiettivo ipergrandangolare montato sulla macchina supera infatti il campo visivo fisiologico umano e apre orizzonti nuovi. Rimodella l’opera degli architetti e concede la possibilità di nuove letture e interpretazioni. Ne deriva, a prima vista, una libertà d’azione estrema per l’operatore. Illimitata, ammaliante… ma così non è, perchè la fotografia zenitale non è, anch’essa, priva di regole che, rispetto alla fotografia tradizionale sono più sottili o, se si vuole, più concettuali.

Va da sé che alcune architetture siano più adatte alla visione zenitale di altre, e che soltanto pochissime di quelle moderne a pianta libera si prestano al genere in modo soddisfacente. La ragione è da ricercare nella mancanza di punti particolari, nodali, che determinano la geometria planimetrica degli spazi e sulla verticale dei quali è giocoforza posare l’apparecchio fotografico per raccogliere compiutamente il compendio geometrico-prospettico del soggetto preso in esame. Perciò la fotografia zenitale di architettura mal sopporta un approccio improvvisato, casuale: il rischio è che l’incantesimo della visione si degradi e si banalizzi, fino a rompersi. Ne consegue che non è sufficiente una generica infarinatura sulla genesi e sulla composizione degli elementi costitutivi del soggetto da riprendere, occorrono basi di storia dell’architettura, di tecniche costruttive e di metodi di rappresentazione della geometria proiettiva.

Ma neppure questo basta, oltre a “dove” posare la fotocamera, occorre sapere “come” posarla e regolarla, cioè operare con una tecnica specifica e far uso di strumenti idonei, spesso costruiti appositamente. Ho scritto “posare” dando per scontato che si tratta di porre la fotocamera zenitale sul pavimento, o, in presenza di ostacoli inamovibili, poggiata su uno stativo che consenta di escludere tali ostacoli dal cono ottico dell’obiettivo.

Infine, in sintesi: individuato il punto nodale dove posare l’apparecchio, ad esempio al centro di una cupola, lo si mette “in bolla” con una livella con un sistema di livellamento su due assi orizzontali ortogonali tra loro. In questo modo l’asse ottico dell’obiettivo sarà perfettamente verticale e al centro del punto nodale prescelto come caratteristico della geometria del soggetto. Terminata questa sorta di inquadratura senza la possibilità vera di controllare quanto l’obiettivo effettivamente legge, le successive operazioni rientrano tutte nella comune prassi fotografica: la misurazione della luce, l’impostazione dei valori di tempo e diaframma e lo scatto. E quindi, sviluppata la pellicola, finalmente si vedrà se il risultato corrisponde a ciò che sino a quel momento si era solo potuto immaginare!


La fotocamera che uso è stata ideata e realizzata appositamente per le riprese zenitali, è dotata di obiettivo grandangolare rettilineare 12mm/5,6 Voigtlaender Ultra Wide Heliar con innesto a vite m39 ed angolo di campo di circa 128°, montato mediante un apposito adattatore -privo di elementi di inquadratura- su un otturatore centrale Sinar-Copal. Tutto il cerchio immagine proiettato dall’ottica (diametro circa 50mm) viene in questo modo raccolto dal materiale sensibile contenuto in un magazzino pellicola tipo Hasselbald 120. Il sistema è completato da una basetta per strumento topografico Topcon, opportunamente modificata, da una livella a bolla torica Starrett da 4” e da un attuatore autocostruito per lo scatto remoto mediante telecomando. L’avanzamento della pellicola avviene mediante un motoriduttore a 12V e per controllarne l’avanzamemento viene impiegato un endoscopio usb-android collegato a uno smartphone.


PROSSIME MOSTRE:

VISIONI ZENITALI dal 16 al 28 marzo 2019, a Matera, capitale europea della Cultura: ex Ospedale di San Rocco, piazza San Giovanni.

EMINENZE ARCHITETTONICHE dal 30 marzo al 23 aprile 2019, a Martina Franca: Palazzo Ducale, Sale d’Avalos.


 

 

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