Nella sua monumentale opera Ore Giapponesi, una summa di ciò che bisogna sapere sul Paese del Sol Levante, Fosco Maraini, forse il più importante nipponista non autoctono, a Nikko dedica poche pagine. Le imponenti architetture, molto decorate, dei templi della cittadina del Kantoo, nella prefettura di Tochigi, a circa due ore di treno in direzione nord da Tokyo, non piacevano al “Professore”. Le trovava barocche, poco rispettose del purismo dell’arte tradizionale giapponese. E non amava i Tokugawa, dinastia di Shogun che tra i boschi di Nikko fecero edificare i loro mausolei. Maraini scrive: “ Nikko… è la stanchezza, la vecchiaia, il male estetico… puzza dovunque di morte”. Eppure un detto locale recita qualcosa come “non dire bello (o, con un gioco di parole, soddisfatto) se non hai visto Nikko”, insomma l’equivalente per l’Itala di “vedi Napoli e poi muori”. Ed è lecito pensare che i quindicimila artigiani che lavorarono per decenni alla costruzione e alle elaborate decorazioni degli edifici di legno, e ai candelabri di pietra, e alle fontane di bronzo, si sentano appagati, nell’aldilà, dal riconoscimento dell’Unesco (accordato nel 1999) del sito tra quelli da considerarsi Patrimonio dell’Umanità.
Rimandiamo i lettori di BARNUM alle guide turistiche per un dettagliato elenco delle attrazioni del luogo (Toshogu, Futasaran, mausoleo di Tokugawa…) mentre li invitiamo a guardare le fotografie che seguono per avere un’idea non troppo approssimativa delle impressioni che si ricevono passeggiando in quel luogo magico. Non si lascino spaventare, i lettori, dai volti poco raccomandabili dei guardiani di legno, dei santuari: guardano in cagnesco, brandiscono spade, mazze e archi, ma lasciano entrare chiunque!